Emilia Romagna, necessario un “taglio” alle fossili

Più del 60% dell’energia consumata nella regione proviene dal gas, mentre al Mase sono in corso di valutazione diversi revamping e repowering di centrali termoelettriche. L’analisi di Legambiente.

Più del 60% dell’energia consumata in Emilia-Romagna proviene da gas fossile. Il settore energetico della regione contribuisce ogni anno all’immissione in atmosfera di 6,99 milioni di tonnellate di CO₂ (6,71 milioni prodotte dal gas), pari al 10% delle emissioni nazionali nello stesso ambito.

Secondo Legambiente, che denuncia questi dati nel primo giorno di tappa del progetto “Goletta verde 2025”, l’Emilia-Romagna è indietro rispetto all’obiettivo 2030 fissato dal decreto aree idonee, pari a 6.330 MW di nuova potenza rinnovabile installata.

Considerando le installazioni realizzate dal 2021 a maggio 2025, la regione ha aggiunto “solo” 1.620 MW, il 25,6% dell’obiettivo finale. A questo ritmo accumulerebbe un ritardo rispetto al target di fine decennio di circa 8 anni e mezzo.

Un rinvio che potrebbe essere evitato, ad esempio, accelerando la realizzazione dei due parchi eolici offshore che da tempo attendono di essere messi in cantiere. Si tratta di “Hub Energetico Agnes Romagna 1 e 2” e “Rimini”, che hanno già ricevuto la valutazione di impatto ambientale positiva, con prescrizioni o raccomandazioni, e potrebbero in poco tempo aumentare la potenza Fer della regione di 930 MW.

Troppi progetti fossili
Le rinnovabili giocano un ruolo importante nel panorama regionale, a partire dal fotovoltaico che grazie a una potenza pari a 3.029,7 MW è in grado di produrre 2.964,24 GWh/anno, pari all’11,2% dei consumi elettrici della regione. A seguire ci sono l’idroelettrico con 823,47 GWh/a e l’eolico con 94,15 GWh/a.

Ciononostante, continua nella regione la spinta verso le fonti inquinanti tradizionali. L’entrata in funzione del rigassificatore di Ravenna, in grado di trattare 5 miliardi di metri cubi di gas, si accompagnerà al deposito con capacità di stoccaggio da 170mila metri cubi e alla nuova unità di vaporizzazione del Gnl, in grado di stoccare almeno 20mila metri cubi.

Lo scorso 24 giugno Greenpeace ha protestato contro il rigassificatore, avvicinando l’infrastruttura a bordo della nave Arctic Sunrise e di alcuni gommoni, in un’azione dimostrativa messa in atto per “chiedere al governo italiano di fermare gli investimenti sul gas fossile”, come si legge in una nota.

L’associazione ambientalista spiega che, “nonostante la domanda italiana di gas sia scesa del 19% fra 2021 e il 2024, e l’import nazionale di Gnl sia diminuito del 12% lo scorso anno, il governo continua a investire su una rete del tutto sovradimensionata di infrastrutture fossili, come il nuovo rigassificatore di Ravenna, costato ben più del miliardo di euro che era stato preventivato”.

Nella regione sono inoltre ancora in valutazione al Mase:

il repowering della centrale termoelettrica di Quirino che rischia di passare dagli attuali 132 MW a 850 MW;
le modifiche della centrale termoelettrica Edoardo Amaldi soggetta a revamping per passare da 1.524 MW a 2.394 MW;
il revamping della centrale di Piacenza che potrebbe passare da 841 MW elettrici a 922 MW e da 1.536 MW termici a 1.655 MW.
A queste si potrebbero aggiungere due nuove centrali a cogenerazione a Ravenna e Gonzalo degli Ippoliti rispettivamente da 31,5 MW e 20,8 MW, la realizzazione della piattaforma di trivellazione in mare “Teodorico”, la concessione di coltivazione idrocarburi su terra ferma “S.Alberto”, lo sviluppo della concessione di coltivazione Valle del Mezzano e il progetto di messa in produzione del pozzo a gas naturale “Podere Maiar 1dir” nell’ambito della concessione di coltivazione “Selva Malvezzi”. Senza dimenticare l’arrivo della dorsale Adriatica di Snam.

Le aree idonee in Emilia-Romagna
Quelle appena elencate sono “tutte infrastrutture energetiche che rischiano di far perdere tempo alla regione e di non far centrare gli obiettivi di decarbonizzazione”, dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna.

“Due – aggiunge – sono i piani d’azione sui quali a nostro avviso la Regione Emilia-Romagna deve muoversi appena possibile: una revisione della legge regionale per le aree idonee, garantendo la fattibilità di un numero sufficiente di impianti, di grandi e piccole dimensioni, per raggiungere gli obiettivi nazionali previsti per il 2030 e la definizione di un nuovo piano energetico regionale che fissi per il 2035 il raggiungimento dell’obiettivo di copertura del 100% dei consumi energetici regionali con energia rinnovabile”.

Sulla legge regionale sulle aree idonee l’iter di approvazione è al momento fermo. Intorno alla metà di maggio la Giunta regionale aveva approvato il suo progetto di legge. Tra i punti principali del provvedimento, un limite all’occupazione massima della superficie agricola utilizzata (Sau) comunale pari al 2%, con possibilità di applicare deroghe dei singoli Comuni, rispettando però il tetto dell’1% a livello regionale.

Previsto anche l’obbligo di ripristinare i luoghi dopo la dismissione degli impianti, con garanzie fideiussorie (per tutti i dettagli si veda Aree idonee, la Giunta dell’Emilia-Romagna approva il progetto di legge).

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